Con l’ultimo crollo avvenuto il 20 febbraio 2024, la naira ha raggiunto il suo minimo storico attestandosi su 1 NGN = 0,000576 EUR sia sul mercato ufficiale che non, arrivando a perdere oltre il 70% del proprio valore solo nell’ultimo anno.
Le cause
Per prima cosa, occorre ricordare che un massiccio crollo del valore era cominciato il 14 giugno 2023, quando la naira era precipitata del 40% in un solo giorno, a seguito dell’annuncio del neoeletto presidente Bola Tinubu di porre fine ai sussidi alla benzina, dopo anni che la misura era in vigore.
Negli stessi giorni, il governatore della Banca Centrale del Paese era stato sospeso, dopo che – durante la sua gestione – una molteplicità di tassi di cambio (in particolare, tre diversi tassi per gli esportatori, per le aziende che importano materie prime e per i guadagni derivanti dalle esportazioni di petrolio greggio) aveva portato a gravi carenze di valuta estera e reso difficile per gli investitori prelevare liquidità dalla più grande economia dell’Africa. Appena insediatosi, infatti, Tinubu aveva unificato il tasso di cambio ed abolito il sussidio citato sopra per favorire gli investimenti stranieri in Nigeria, che è anche il primo produttore di petrolio del continente.
Le conseguenze
La Nigeria, che ha anche il primato africano per quanto riguarda la popolazione (circa 220 milioni di abitanti), dipende fortemente dalle importazioni per quanto riguarda la benzina, il cibo, i prodotti sanitari e le automobili.
Il crollo del valore della naira ha, innanzitutto, portato ad un vertiginoso aumento del costo della vita e ad un’impennata del tasso di inflazione, che ha raggiunto il 30%. Le conseguenze immediate sono l’erosione del potere d’acquisto e la riduzione della domanda sul mercato, soprattutto per quanto riguarda i beni di importazione.
Si aggiunga, inoltre, che il crescente tasso di disoccupazione a livello nazionale si attesta intorno al 5% e trascina milioni di persone nell’impossibilità di avere autosufficienza economica.
Tutto ciò, ovviamente, accade a spese dei cittadini nigeriani: la cosiddetta classe media emergente è sostanzialmente scomparsa ed è regredita ad una condizione di povertà. Il malcontento nella popolazione cresce e diverse proteste nazionali sono già scoppiate o sono in fase di programmazione.
“L’economia sta affondando. La trasmissione del tasso di cambio sta uccidendo l’economia. I prezzi stanno aumentando quasi ogni giorno. Prima di rendercene conto, potremmo diventare come l’Argentina”, ha detto senza mezzi termini Akpan Ekpo, ex direttore generale dell’Istituto per la Gestione Finanziaria ed Economica dell’Africa Occidentale.
Gli esperti osservano con preoccupazione e sconcerto la situazione che si sta delineando del Paese e non esitano a paragonare la Nigeria all’Argentina, definendo l’economia dello Stato africano sull’orlo del collasso. In Argentina – lo ricordiamo – il tasso di inflazione ha toccato, a gennaio 2024, il massimo degli ultimi 30 anni: 254%, con un aumento del 20% solamente rispetto al mese precedente.
Le imprese vittime della crisi
Come affermato dal Nigerian Economic Summit Group – un think tank guidato dal settore privato – nel suo rapporto sulle prospettive macroeconomiche: “L’effetto combinato della rimozione dei sussidi al carburante e dell’armonizzazione dei tassi di cambio ha posto notevoli pressioni sulle capacità produttive delle imprese in vari settori poiché i costi operativi e di produzione sono aumentati rapidamente”.
Duramente colpite dalla crisi economica sono, infatti, state anche le imprese nigeriane, che devono sostenere costi sempre più elevati dovuti all’aumento dei prezzi di materie prime ed energia.
L’altro aspetto del problema che le imprese si sono trovate di fronte è costituito dai debiti denominati in valuta estera. Con la svalutazione della naira, l’importo dei crediti ottenuti da investitori esteri che i grandi operatori del settore petrolifero e del gas devono ripagare si è innalzato vertiginosamente: se a maggio 2023 il debito totale ammontava a 4,5 miliardi di dollari, soltanto nel mese successivo era salito a 6,4 miliardi di dollari.
Alcuni casi sono esemplificativi: le multinazionali Procter&Gamble Nigeria, GlaxoSmithKline Consumer Nigeria e Sanofi-Aventis Nigeria hanno annunciato di voler chiudere le proprie filiali nel Paese per passare ad un modello di distribuzione tramite terzi per i loro prodotti. A novembre 2023 PZ Cussons Nigeria, un produttore di beni di consumo, ha subito perdite dovute ai tassi di cambio pari a 54 milioni di dollari, a fronte degli 1,7 milioni nello stesso periodo dell’anno precedente.
E ancora: per Nigerian Breweries, il più grande birrificio del Paese, la svalutazione della moneta nazionale ha significato una perdita di cambio netta di 66 milioni di dollari durante il 2023, rispetto ad un utile di 8,2 milioni nel 2022.
Le prospettive
L’attuale situazione dell’economia nigeriana è gravemente critica e le prospettive non sono incoraggianti.
In primis, il debito pubblico nigeriano costituisce un grande freno allo sviluppo del Paese. Nel 2023, ha raggiunto il valore totale di 108,3 miliardi di dollari, con un aumento del 123% negli ultimi dieci anni, un tasso di crescita sei volte superiore a quello del PIL. Sempre nell’ultima decade, inoltre, il rapporto tra debito e PIL è cresciuto dal 18% al 38%.
A ciò si aggiunga che, per la maggior parte, il nuovo debito è stato finanziato esternamente, aumentandone così il rischio di insostenibilità, per via degli alti tassi di interesse spettanti ai creditori. Una quota sempre maggiore delle entrate pubbliche viene infatti allocata per ripagare il debito: si stima che, nel 2022, addirittura il 96% degli introiti statali sia stato destinato al pagamento degli interessi sul debito.
In secondo luogo, il Paese poggia per metà delle proprie entrate economiche sulle esportazioni del greggio, la materia prima assolutamente predominante nel mercato nigeriano, mentre gli introiti provenienti dal sistema di tassazione non sono sufficienti a sostenere l’economia nazionale e, come detto sopra, vengono in gran parte stanziati per ripagare il debito pubblico.
Il tutto inserito in un quadro di forte instabilità politica e – soprattutto – sociale, nel quale la redistribuzione delle ricchezze è assente e le disuguaglianze enormi, con oltre la metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà (meno di due dollari al giorno), pur facendo parte della prima economia del continente africano.