Ci serviamo di un importante strumento economico per leggere la presenza delle risorse in Africa: l’indice di concentrazione, che ci dice in che modo un bene è diviso tra la popolazione. Osserviamo la tabella qui riportata e possiamo notare come la ricchezza di un intero continente si concentri in soli 14 paesi, meno del 30% del continente!
Nel nordovest abbiamo Algeria e Marocco, oggi fondamentali perché divenuti alternativa al gas russo. L’Egitto, invece, ha una posizione più articolata sullo scacchiere geopolitico, è una vera dittatura ma è anche un paese dalle solide radici. La politica, la diplomazia e il gas anche in questo caso possono fare la differenza.
La Nigeria, il paese che pesa di più in termini di crescita demografica, è una pentola a pressione…
Così vale per il Sudafrica, l’Angola, il Ghana e la Costa d’Avorio.
Meno per la Libia, che è un problema europeo e franco-italiano sul tavolo da tempo e da affrontare.
Il Kenya con il neoeletto presidente William Ruto è diventato ancora più US-friendly. La Tanzania meno, ma ricca com’è di gas naturale sarà sicuramente di prossimo interesse occidentale.
E infine l’Etiopia, sprofondata in una guerra ottocentesca e tribale, potrà con facilità essere riportata al suo ruolo di grande nazione perché ha le radici per esserlo.
Sul Congo esistono dubbi più consistenti per via della sua fragilità politica e delle guerre civili in atto.
Il quadro a pennellate veloci vuole solo significare che l’Africa, con intelligenza e con diplomazia congiunta dell’asse occidentale USA-UE, può porsi nella condizione di affermare una politica meno proprietaria e una democrazia più vera, mentre i cittadini acquisiscono responsabilità e l’Unione Africana diventa un’istituzione di rispetto.
Se ne è accorto Biden che ha convocato un summit Usa-Unione Africana per tentare di rimettere in linea le alleanze del futuro, spingendosi a un viaggio di incontri e proposte programmato nel 2023.
Acquistare prodotti e risorse del continente in maniera corretta, finanziare centri per l’istruzione e la formazione dei giovani africani, preparando il terreno anche per la loro mobilità internazionale, il tutto accompagnato alla trasformazione democratica devono divenire i primi obiettivi.
Educare, creare leadership risulta più importante di una infrastruttura che diviene vecchia in pochi anni.
Quest’approccio può consentire a milioni di giovani africani di affermare la propria voce.
L’economia africana potrebbe finalmente partire, i consumi interni pure, e i suoi quattro miliardi di abitanti consumare, non condannando il mondo a una magra ma continua recessione.
Al contempo, un’emigrazione verso gli altri continenti ne consentirebbe la sopravvivenza, com’è il caso dei cento milioni che sarebbero necessari per ripopolare l’Europa sfibrata dal calo demografico e dall’anzianità.
Cento milioni su un totale di quattro miliardi, un nulla per l’Africa, tutto per l’Europa.
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