Un continente ancora feudale
L’Africa appare qualche volta democratica nella forma, ma è e rimane feudale.
È governata da dittatori, oppure da presidenti eletti con democrazie apparentemente costituzionali, salvo poi cambiare le regole rendendo la loro carica a vita, come è avvenuto in Uganda e in Rwanda. E ora sembra in Centrafrica. E quando non piegano la costituzione a regno, governano con una ristretta cerchia di persone che diventano il cerchio magico, che a sua volta diventa establishment e che a sua volta diventa democratura, ovvero la cattura della democrazia.
Pochissimi si salvano: per esempio lo Zambia che sta tentando un cambio vero di regime, il Botswana, in parte la Namibia, in parte il Marocco.
Il Sudafrica è uscito dall’orbita dei paesi del secondo mondo sprofondando in quelli del terzo dopo il lungo, disastroso e corrotto regno di Zuma. La Nigeria non trova un assetto democratico corretto nonostante la alternanza costituzionale tra nord e sud. L’Etiopia con Abji che aveva anche ricevuto il premio Nobel per la pace è ricaduta in una guerra fratricida.
Il Kenya esce ora da elezioni che hanno superato i rapporti tribali e starà al nuovo presidente William Ruto decidere se indirizzare il paese verso una vera democrazia o ritornare a una nuova “democratura” familiare.
Mali, Chad, Burkina Faso, Guinea, Sudan sono tutti sotto il guanto di ferro di militari golpisti dove la democrazia è una chimera e il terrorismo una realtà.
Tutto il nord ad eccezione del Marocco è in mano ormai a dittatori o a guerre civili come in Libia, finendo al golpe costituzionale tunisino.
Le guerre sono una quindicina e attraversano altrettanti paesi, quindi un terzo del continente.
Di questo parleremo meglio nelle prossime pagine.
Questo in poche parole è lo stato della politica; un mondo medievale dove il diritto è escluso e i diritti universali spesso calpestati e negati, dove poche persone si impadroniscono delle ricchezze e le spartiscono tra loro, dove i poveri sono tutti gli altri cui quasi nulla è redistribuito. Appunto come nel medioevo feudale tra servi della gleba e sudditi bastonati.
La cattura della democrazia, la democracy capture che l’organizzazione Freedom House misura annualmente e analizza paese per paese, è il fenomeno tutto africano, ma ultimamente non solo, che impedisce lo sviluppo del continente perché la cerchia decisionale è ristretta e governa una moltitudine di persone.
Occorrerebbe però colpire i pochi, escluderli dal potere, e aiutare i tantissimi a prendere coscienza!
Un compito improbo che le democrazie occidentali prima, e la Cina oggi, ultimo predatore d’Africa, hanno declinato, accontentandosi della forma governativa di un continente che lascia loro tutte le ricchezze a fronte dell’accordo con i pochi al potere.
Ma come spiegare questa forma governativa e sociale simil-feudale, dove la popolazione è trattata da suddito? Molti indicano nella divisione tribale questo meccanismo, oppure nella mancanza di strumenti culturali adatti a smuovere le coscienze e far nascere un cambiamento. Ma ci sembrano ragioni semplicistiche.
Ciò che vorrei evidenziare è la mancanza di comprensione delle battaglie sociali.
L’Occidente ha speso secoli a battagliare sui diritti del lavoro, oltre che sui diritti sociali e civili; a ben pensarci tutto il ‘900 è stato un secolo di lotte tra capitalisti avidi e socialisti che reclamavano invece un ruolo nella società, e nella distribuzione della ricchezza.
Lotte, battaglie che hanno portato a governi di destra e a governi di sinistra che a loro volta hanno prodotto leggi che livellano gli squilibri. Anche la comparsa del comunismo in Russia ha spalleggiato queste lotte, spesso le ha ispirate, qualche volta le ha finanziate.
Gli ultimi decenni di relativa calma ci hanno visto concentrarci su altre lotte sociali, perché la conquista dei diritti non si ferma, specie per le minoranze.
Se pensiamo al continente africano invece, non possiamo registrare le medesime battaglie. La storia ci insegna che dal XV al XX secolo l’Africa è stata attaccata, depredata, colonizzata dagli Stati europei, riuscendo a liberarsi soltanto nella seconda metà del secolo scorso e iniziando un cammino di nuova cultura politica, spesso socialista se non comunista.
Il respiro rivoluzionario si è però arrestato molto presto, perché le politiche sono diventate liberali, e liberiste, poi ordoliberaliste, poi falsamente democratiche e infine dittatoriali.
La coscienza sociale si è persa nel dollaro al giorno da recuperare per sopravvivere per il 99% della popolazione, e si è tramutata in un Eldorado per l’1% della restante popolazione.
La coscienza non c’è perché non ci sono i presupposti, né la storia, né la cultura, né spinte esterne ad innervarle. Non c’è più nemmeno l’esempio comunista per eccellenza, perché anche la Cina pensa esclusivamente agli affari con i soliti noti, mentre l’Europa se ne sta in disparte, senza intervenire.
E allora?
Allora si dovrà cominciare a lavorare seriamente per arrivare a un mutamento del regime feudale, un cambiamento che garantisca strumenti di comprensione e lotta per la popolazione, affinché diventi consapevole dei propri diritti, abbia voglia di combattere per vivere meglio, per avere un continente democratico che l’aiuti e la difenda da eventuali attacchi.
È possibile?
Non lo so. Ma occorre iniziare questo processo partendo dall’Europa che è il continente più interessato. Con diplomazia, aiuti e forti pressioni economiche che i paesi africani temono.
Qualche timido esempio sta maturando come in Zambia e forse in Kenya.
Il lavoro è tantissimo, difficile e paziente, ma non si può non fare.
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