Non si può parlare d’Africa senza parlare affrontare il complesso tema della demografia nel Paese.
Una demografia sfrenata, che non ha paragoni.
L’Europa, gli Stati Uniti e la Cina non possono competere in termini numerici.
Ma analizziamo il fenomeno per step…
Proviamo a sorvolare il continente e diamo uno sguardo a ciò che appare sotto i nostri occhi: subito vediamo la fascia dei paesi che compongono il Maghreb, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, oltre all’Egitto, quei paesi che gli arabi hanno conquistato durante il Medioevo e che hanno trattenuto la cultura islamica, facendone paesi sviluppati, vicini all’Europa, e che più hanno dato al nostro continente in termini di dialogo, ma anche di immigrazione.
In termini economici c’è da registrare una certa disomogeneità, perché da un lato abbiamo Marocco, Algeria ed Egitto che sono abbastanza solidi, e dall’altro la Tunisia, entrata in una problematica di impoverimento, e la Libia in una guerra civile pluriennale da cui non si vede via di uscita.
Poi sorvoliamo i 44 paesi della cosiddetta area subsahariana.
Partiamo dal Sahel nella sua accezione semantica di bordo o fascia.
Il Sahel costeggia il sud del Sahara e va da Dakar in Senegal fino ad Asmara in Eritrea, ed è una delle zone più povere del mondo, nonché dell’Africa stessa. Il cambiamento climatico e la siccità hanno dato il colpo di grazia a quest’area, e il continuo innalzamento della temperatura sta producendo e produrrà fenomeni di sempre maggior gravità.
Un dato su tutti come esempio: il lago Ciad che sosteneva la pastorizia e all’agricoltura di ben quattro paesi del Sahel (Ciad, Camerun, Niger e Nigeria) si è tragicamente ridotto, un disastro per tutti i paesi che lo costeggiavano che ha dato vita ad una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi vent’anni e ad una emigrazione ambientale infinita.
Alla siccità e alla povertà estrema si sono aggiunti gli insediamenti Jihadisti e quelli del nuovo Isis africano, che lo rendono ancora più instabile e pericoloso.
Il Sahel, specie nella parte del cosiddetto 5S – Chad, Burkina Faso, Mali, Mauritania e Niger, cui aggiungo anche il Nord della Nigeria, sta diventando la zona di maggior terrorismo, anche di esportazione, insieme al Mozambico ed alla Somalia.
Un vero buco nero dove si aggirano i nuovi conquistatori dell’Africa, approfittando dei frequenti e ripetuti colpi di Stato: la Turchia e la Russia, quest’ultima incarnata nel Gruppo Wagner, un insieme di mercenari attivi anche in Sudan e Repubblica Centrafricana nei periodi peggiori delle crisi politiche e delle rivolte, fondato da un oligarca legato a Putin da una conoscenza trentennale, Yevgeny Prigozhin, ex criminale reinventatosi imprenditore della ristorazione negli anni ‘90.
Pensiamo poi al Mali, al Burkina Faso con due golpe consecutivi, al Chad con l’assassinio di Idriss Deby, a Guinea e Sudan cui si aggiungono le guerre della Repubblica Centrafricana, le rivolte nel nord del Congo, e la terribile guerra in Etiopia tra le forze governative appoggiate dall’Eritrea contro il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray. Insomma, una situazione delicata della quale parleremo meglio e in maniera dettagliata nel capitolo dedicato alla politica, e alle guerre.
Continuando nel nostro volo ci troviamo in Africa sud-orientale, in paesi relativamente tranquilli come il Kenya, l’Uganda e la Tanzania, vicini però a nazioni che sono bombe ad orologeria, come la Somalia e il Mozambico; lo Zambia che prova a cambiare passo con il nuovo leader Hichilema, esempio positivo per il continente, accanto però ad un vicino come lo Zimbabwe, ancora intrappolato dal dominio di Mugabe, e dall’Angola, paese iper-sfruttato da una cerchia ristretta di governanti ora messa in crisi da un’opposizione finalmente sveglia; Botswana e Namibia alla ricerca di nuove vie per lo sviluppo africano, ed infine il Sudafrica, punta del continente, una volta primo in termini di PIL e consistenza, che oggi ha dovuto lasciare il passo alla Nigeria.
Virando ad ovest incontriamo la Nigeria, dilaniata nel nord da Boko Haram, ma che rimane il più importante stato africano in termini demografici (quasi 200 milioni di abitanti, destinato a diventare un paese da 900 milioni a fine secolo), e poi sulla costa atlantica le tante nazioni che in passato sono state depredate dalla tratta degli schiavi: Senegal, Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio, Ghana e Benin.
Questa è l’Africa: 54 nazioni differenti tra loro per lingua, cultura tradizionale e costumi, per ricchezza e povertà, per sviluppo e recessione, per crescite modeste su basi imponibili altrettanto modeste, governate tutte da dittatori o presidenti eletti con forzature e brogli, dove la corruzione impera.
Paesi governati da governi democratici solo in apparenza, e per questo parliamo di Democracy Capture, cattura della democrazia, dove alcune delle decisioni politiche ed economiche più importanti non sono prese da individui responsabili nei confronti dei cittadini, ma da reti che comprendono addetti ai lavori dell’esecutivo, faccendieri politici, famiglia del presidente, giudici, uomini d’affari, alti funzionari, leader militari e finanzieri internazionali, tra gli altri. In alcuni casi, queste reti attraversano i confini nazionali, grazie a profondi legami con società internazionali o all’integrazione in reti criminali organizzate transnazionali, in modo da portare fuori dal Paese risorse significative, creando disuguaglianze e inibendo ogni forma di sviluppo credibile.
Un mondo semi-feudale dove la popolazione si ritrova a vivere come sudditi, o peggio “schiavi”, dove le iniquità sono infinite e i diritti calpestati.
Paesi dove l’alternanza sociale è sconosciuta, e le battaglie sociali e sul lavoro sono ancora un miraggio. Eppure, sotto la cenere, proprio in quei paesi sono in atto trasformazioni che percorreranno tutto questo secolo.
Ho voluto definire l’Africa esplosiva perché la parola ha un doppio significato: qualcosa che può avere molto successo, oppure qualcosa che può scoppiare facendo danni. Questa è l’Africa: un continente esplosivo, in cui la parte che potrebbe deflagrare è tanta. Tanto spesso da far pendere verso il pessimismo la bilancia dell’analisi.
Ma per ora guardiamola per quello che è, e consideriamo le otto trasformazioni in atto una per una.
La prima evidenza esplosiva è la sua crescita demografica
Nel 2020 l’Africa contava 1 miliardo e 360 milioni di persone, nel 2050 ne conterà quasi 2 miliardi e mezzo, e nel 2100 arriverà a quasi 4 miliardi.
Una crescita allarmante che a fine secolo vedrà 4 su 10 degli abitanti della Terra essere africani, un vero cambio della prospettiva del mondo.
Oggi un po’ più della metà della popolazione africana ha meno di 20 anni e, al ritmo di circa 4 bambini per donna, si arriva logicamente ad un incremento che ha davvero dell’incredibile, specie se comparato con la nostra bassissima natalità occidentale. Solo in Asia fino al 2050 si trovano esplosioni di questo tipo, poi anche lì si bloccheranno e inizieranno a scendere, come abbiamo detto per la Cina. Una decrescita che invece in Africa non avverrà, e che segnerà una galoppata per tutto il secolo.
Quando racconto questi numeri in molti sono increduli, alzano le spalle, negano o minimizzano; si pensa che la cura alla sovrappopolazione potrà essere lo scoppio di un’epidemia, una migliore contraccezione, e che pensandoci, da qui alla fine del secolo debba passare ancora tanto tempo. Mi dispiace per chi minimizza, perché ignora che le tendenze sono già in atto, e sono inarrestabili.
La seconda evidenza è la povertà
La povertà è spesso l’immagine prescelta per descrivere il continente africano nella sua interezza, con le tipiche foto di bambini denutriti che fissano il vuoto. Certo non può esserne la sola rappresentazione, ma i dati ci confermano che la povertà è altissima: più del 70% della popolazione dell’Africa Sub-sahariana vive con meno di un dollaro al giorno. La ricchezza si concentra nelle mani di pochi, seppur in maniera smisurata, mentre la classe media che avanza occupa e continuerà ad occupare una modesta quota di popolazione.
Osservando i nuovi dati raccolti dal Fondo Monetario Internazionale, il reddito pro-capite di un africano oggi è di circa 1.700 $ l’anno; nel 2050 sarà di 2.000 $, un aumento praticamente nullo se consideriamo l’inflazione. Inoltre, e senza dover attingere alle teorie economiche, quando un continente non cresce abbastanza a livello economico, ma la popolazione cresce invece al ritmo di milioni di neonati l’anno, il reddito pro-capite non può crescere. In effetti, osservando le proiezioni, notiamo come resti su una soglia estremamente bassa: 5$ a testa ai giorni nostri, 5$ nel 2050, per arrivare a 9$ nel 2100, una povertà estrema che si trascina negli anni.
Il tutto condito da un livello di disuguaglianza sociale indicibile, come ben espresso dalla tabella di seguito, fornita dal World Inequality Index dell’economista Piketty: il 10% della popolazione adulta africana, formato da quasi 80 milioni di persone, detiene il 54% della ricchezza del continente; il 50% della popolazione adulta invece, si spartisce il 9% della ricchezza, poco meno di 400 milioni di dollari, ovvero 568$ l’anno, meno di 2$ al giorno.
La terza evidenza è la mancanza di crescita economica che iberna il reddito
In termini di PIL mondiale, l’Africa pesa meno del 3%, poco più dell’Italia.
La sua crescita annuale è intorno al 3-4%, ma partendo da un PIL molto basso e da una inefficiente quanto corrotta distribuzione del reddito, non è sufficiente a creare un buon livello di sviluppo.
La Cina e buona parte dell’Asia, per far divenire autosufficienti i loro consumi interni, hanno dovuto lavorare sodo e per quarant’anni, dal 1980 ad oggi, risultando in una crescita di PIL a due cifre affinché si creasse ricchezza, decuplicando di fatto il reddito pro-capite. Ora stanno iniziando a crescere anche per via del rinnovato consumo interno, e hanno un sistema fiscale tale da garantire ai cittadini buoni servizi.
Per l’Africa, con una crescita così bassa del 3 % medio, con l’appropriazione indebita che i potenti fanno delle ricchezze naturali, con una quasi nulla redistribuzione del reddito, è praticamente impossibile costruire un processo virtuoso come è stato per il continente asiatico nel secolo scorso.
La quarta evidenza è l’urbanizzazione
Il fenomeno dell’urbanizzazione è in continuo crescendo nel continente africano, mosso non da ragioni sociali come la ricerca di lavoro, o la possibilità di ricevere servizi migliori nell’ambiente cittadino come avviene in Occidente, ma per mancanza totale di prospettive nelle aree rurali, e per l’impossibilità di utilizzarne il suolo a causa del cambiamento climatico e della conseguente siccità estrema.
I numeri della migrazione interna saranno enormi e quasi incredibili: nel corso di questo secolo il 70% della popolazione africana vivrà nelle città. Un esempio su tutti, che conosco da vicino: Nairobi oggi ha una popolazione di 5 milioni di abitanti, ma nel 2100 sarà abitata da 46 milioni di persone. La popolazione non trova lavoro in città, trova solo gli slum, le baraccopoli, dove il 70% di questa immigrazione cittadina andrà ad abitare.
Lo slum è sinonimo di una vita grama, senza servizi garantiti, senza acqua potabile o elettricità regolare, senza rete fognaria, in un’area caratterizzata da sporcizia ed abbandono, con una densità abitativa impossibile da descrivere.
La quinta evidenza è la disoccupazione o, meglio, il non-lavoro
Oggi la disoccupazione è al 60% in tanti paesi africani, con una forza lavoro tra le più giovani, forti e dequalificate del mondo.
Tanti avevano pensato (e io ero tra quelli) che l’Africa si sarebbe avviata a divenire la Cina del pianeta: con una moltitudine di persone in età lavorativa, a basso costo: il luogo ideale per delocalizzare e per costruire le fabbriche che ormai stanno lasciando la Cina, creando un mercato interno.
Ma una peste tecnologica, il ritorno all’autosufficienza occidentale nei propri paesi e la reindustrializzazione in tutto l’Occidente, cui si aggiungono i robot e le fabbriche 4.0, tanto incentivate nelle nostre ricche nazioni, bloccherà questa speranza.
Chi vorrà, infatti, andare in Africa quando sotto casa potrà mettere a lavorare un bel robot, sostenuto dai soldi dello Stato, che lavorerà 24 ore al giorno e che potrà anche ammortizzare?
Il lavoro, quindi, è il vero problema dell’Africa, che renderà ancora più difficile la crescita economica e quello che si porta dietro.
Sesta evidenza è la mancanza di servizi adeguati
Pensione, sanità, trasporti, infrastrutture sono oggi molto carenti se non assenti, ma sono anche destinati a essere sempre in ritardo rispetto alla massa crescente di popolazione.
La settima evidenza, e forse la prima in termini di priorità, è la classe politica
Come abbiamo già accennato, l’Africa non è un continente unito politicamente, anche se l’Occidente lo percepisce come un tutt’uno, seguendo per ignoranza l’idea che il continente sia un agglomerato di povertà, malattie, caos e conflitti.
L’Africa è costituita da 54 stati, quasi tutti poco democratici (una decina sono, di fatto, dittature), caratterizzati da una politica odierna incapace e spesso corrotta, che solo oggi, finita la fase dell’indipendenza e poi quella degli aiuti a pioggia, sta iniziando a fare i conti con i problemi della propria gente.
L’ottava evidenza si contrappone alle prime ed è molto positiva: l’Africa è ricchissima
L’Africa riposa su un tesoro di materie prime unico al mondo, perché ne possiede più di tutti gli altri continenti messi insieme.
È ricca di terra non ancora arata (il 75%) che potrebbe essere utilizzata per il cibo del mondo; è ricca di sole e vento, che sono una gigantesca risorsa nell’era, ormai giunta, delle energie rinnovabili; è ricca di gas naturale che sta diventando merce rara in Occidente dopo la guerra Ucraina; è ricca di una creatività tecnologica autoctona, che ha inventato sistemi di scambio di denaro con un semplice sms, come MPESA. È ricca di forza lavoro a basso costo per un possibile sviluppo interno e di ogni ben di Dio naturale e umano, in modo quasi inimmaginabile.
L’Africa con queste ricchezze potrebbe prendere in mano il suo possibile futuro e, se ci fosse una buona politica, potrebbe farcela.